Una tavola ben apparecchiata, il cibo ben disposto nei piatti, i profumi delle pietanze, oppure di un dolce appena sfornato, il colore di un frutto, sono tutte immagini positive, simboli di serenità, unione, condivisione, benessere.
Molte persone sostengono che uno dei piaceri più inebrianti, in questa vita, sia proprio il mangiare bene. Eppure, non sempre il cibo viene considerato positivamente. Spesso può diventare uno strumento di autolesionismo, una specie di ossessione, un’oasi illusoria in cui rifugiarsi. Questi modi anomali e “malati” di relazionarsi con il cibo sono riconosciuti come Disturbi del comportamento alimentare.
Si tratta di tutti quei disturbi del comportamento alimentare, come ad esempio l’anoressia, la bulimia, l’obesità, il binge-eating etc., che possono alterare significativamente la qualità della vita delle persone, incidendo negativamente sul corpo, sulla psiche, sul benessere e sulle relazioni.
Molti pazienti che soffrono di un disturbo alimentare, non sono consapevoli della gravità della situazione e non danno il giusto peso al problema.
Il mangiare in modo compulsivo, il seguire infinite diete alla ricerca di un ideale di bellezza, l’uso eccessivo di lassativi, il vomito auto-indotto, a volte, vengono considerati non come espressioni reali di un disturbo, ma come soluzioni ai propri problemi, come quello di placare la rabbia e l’ansia, il non sentirsi accettata o sentirsi brutta ed inadeguata, etc.
Per questo motivo, molte persone, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, non chiedono aiuto e rifiutano qualsiasi tipo di approccio terapeutico. Diversi studi medico-scientifici hanno riscontrato che solo una minima parte delle persone, che soffrono di tali disturbi, riesce a chiedere un concreto aiuto terapeutico, volontariamente.
Spesso, l’isolamento ed il silenzio sembrano essere le uniche risposte per esprimere il proprio disagio interiore.
In questi casi, il contatto terapeutico permette di aprire un dialogo e di monitorare le eventuali complicanze, sia dal punto di vista medico che psicologico. Spesso si inizia con un ‘percorso motivazionale’, ossia un percorso psicologico che aiuta il paziente a scegliere la strada verso la propria guarigione e il proprio benessere.
Durante il percorso, la persona, grazie all’aiuto del terapeuta:
La componente sociale può spiegare, sotto diversi aspetti, la progressiva diffusione di questi disturbi.
Basta pensare ai modelli pubblicitari e agli ideali di bellezza e perfezione che diffondono i Media, per capire da dove arriva questo profondo senso di insoddisfazione nei confronti del proprio corpo.
In una realtà così consumistica e disgregata, il corpo diventa semplicemente uno strumento plasmabile, simbolo di realizzazione e sicurezza di sé, senza che si colga la portata distruttiva del comportamento alimentare.
Tuttavia, nell’insorgenza di una problematica così seria e , concorrono diversi fattori: biologici, psicologici, individuali, familiari, sociali e culturali.
Secondo le ultime statistiche, sembra che i DCA riguardino pazienti appartenenti a fasce d’età sempre più ampie, dall’infanzia fino all’età adulta.
I primi sintomi tendono a manifestarsi, maggiormente, in età adolescenziale, tra i 12 e i 18 anni.
Il disturbo colpisce più le adolescenti e le giovani donne, rispetto ai maschi, anche se, ultimamente, risultano esserci più casi di anoressia maschile.
I disturbi dello spettro alimentare rappresentano inoltre un disagio psicologico tipico della cultura occidentale, ciò che viene quindi definito come una culture-bound syndrome, ovvero un disagio culturalmente determinato. Si tratta di un insieme eterogeneo di disturbi cognitivi e comportamentali, cosiddette sindromi, diffuse generalmente in specifici contesti geografici.
Solitamente il trattamento dei disturbi alimentari è di tipo multidisciplinare ed integrato. I disturbi dell’alimentazione sono, difatti, disturbi psichiatrici con importanti manifestazioni psicopatologiche ed un’alta frequenza di complicanze di tipo medico.
Il più delle volte, i disturbi alimentari coesistono con altri disagi, come ad esempio la depressione, la dipendenza da sostanze, gli attacchi di panico, i disturbi d’ansia, ecc.
È quindi necessaria una collaborazione tra più figure professionali, in grado di occuparsi in modo integrato di diversi aspetti del problema.
Il tipo di trattamento, ritenuto più adatto alla persona, viene scelto insieme al terapeuta, dopo una approfondita valutazione diagnostica del caso.
Può essere utile in molti casi che siano i genitori ad iniziare un percorso di sostegno, così da trovare una chiave di possibile aggancio con il proprio figlio.
Chiedere aiuto è il PRIMO passo…
Dott.ssa Valentina Capuano
Psicologa Psicoterapeuta - Pavia (PV)
Dott.ssa Valentina Capuano Psicologa Psicoterapeuta
Pavia (PV)
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Laurea in Psicologia Clinica Università degli Studi di Pavia
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